La documentazione dell’italiano nel mondo: una rassegna dei metodi

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Keywords: lingua ereditaria , Human Migration , language documentation

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  1. Riferimento a tutto il contributo:
    Margherita Di Salvo (2024): La documentazione dell’italiano nel mondo: una rassegna dei metodi, Versione 1 (17.12.2024, 11:01). In: Roland Bauer & Thomas Krefeld (a cura di) (2024): Lo spazio comunicativo dell’Italia e delle varietà italiane (Korpus im Text 7), Versione 91, url: http://www.kit.gwi.uni-muenchen.de/?p=120172&v=1
    Diese URL enthält einen Hinweis auf die unveränderliche Version (…v=nn)
  2. Riferimento ad una sequenza oppure ad un’attestazione di una citazione: http://www.kit.gwi.uni-muenchen.de/?p=120172&v=1#p:1
    Diese URL enthält einen Hinweis auf einen spezifischen Abschnitt (…p:1). In diesem Fall ist sie mit dem ersten Absatz verknüpft. Eine vollständige Referenz kann jeweils über die Ziffern in den grauen Quadraten am rechten Rand des Satzspiegels abgegriffen werden.
Abstract

Il presente contributo si propone di fornire una rassegna critica dei metodi tradizionalmente adoperati nella raccolta di dati empirici relativi all’italiano e ai dialetti italoromanzi nel mondo e di discutere gli approcci attuali, ancorati alla nozione di lingua ereditaria. Obiettivo dello studio è quello di evidenziare la necessità di una metodologia che tenga conto anche delle istanze teoriche elaborate nell’ambito della riflessione sulla documentazione linguistica, spesso ignorate nella ricerca sulle lingue migrate, italiano e dialetti italoromanzi compresi.

1. Introduzione

Nella bibliografia di riferimento, il tema della documentazione linguistica è generalmente declinato a partire dal caso offerto dalle lingue minacciate o endadgered languages (Crystal 2000Dorian 2014a), come è possibile rilevare dalla citazione seguente (Austin 2010, 11), prototipica di questa associazione oramai consolidata:

Documentary linguistics has developed over the past 15 years in response to the
need to make a lasting record of the world’s endangered languages (estimated to be as many as 90% of the 7,000 languages spoken on earth today), and to support speakers of these languages in their desires to maintain them

L'abitudine di collocare la riflessione sulla documentazione linguistica quasi esclusivamente all'interno della bibliografia sulle lingue minacciate è stata discussa criticamente da Dal Negro 2021 che la riconduce anche al fatto che linguistica applicata e documentazione linguistica sono stati sempre "universi paralleli" (Dal Negro 2021, 10) privi di un punto di incontro, sebbene questi due ambiti di ricerca linguistica possano avere, in realtà. molteplici sovrapposizioni e intersezioni. La riflessione di Dal Negro 2021 si spinge oltre in quanto la studiosa, infatti, evidenzia un ulteriore controsenso: il tema della documentazione linguistica non è mai stato oggetto di riflessione sistematica neppure da parte degli studiosi di contatto linguistico, nonostante il contatto sia una delle caratteristiche strutturali più diffuse delle lingue minacciate, che, per definizione, vivono in un contesto in cui vi è un'altra lingua maggioritaria. Scrive infatti Dal Negro 2021, 11:

Eppure, le lingue che sono tipicamente oggetto dei progetti di documentazione linguistica sono inerentemente lingue di contatto (salvo rarissime eccezione), cioè lingue che convivono in contesti caratterizzati da bi- o multilinguismo, nei quali la lingua da documentare costituisce generalmente "l'anello debole" del repertorio, motivo per cui i parlanti sono necessariamente bi- o plurilingui, spesso da molte generazioni. Il contatto linguistico diventa, in questi casi, parte delle strategie di sopravvivenza della lingua e non di rado costituisce l'indicatore più affidabile della tipologia sociolinguistica di una comunità.

Per quanto, quindi, le lingue minacciate o moribonde siano per natura a contatto con una o più lingue dominanti nei repertori individuali, il tema del contatto è meno presente nella riflessione sulla documentazione linguistica. Invertendo la formulazione si potrebbe sostenere che le istanze maturate in seno alla bibliografia prodotta sulla documentazione linguistica sono state scarsamente oggetto di riflessione da parte di studiosi di contatto linguistico. E tra questi possono essere inclusi coloro che hanno investigato le situazioni di contatto tra una lingua migrata e la lingua maggioritaria della società di immigrazione.

Nelle pagine che seguono, si intende invece dimostrare che il tema della documentazione linguistica potrebbe, anzi dovrebbe, intersecarsi a quello della linguistica del contatto e, più in generale, alle lingue di minoranza che, a seconda della conformazione sociolinguistica della comunità in cui sono parlate, sono, per loro natura, esposte al contatto con la lingua dominante della società. 

Tale condizione, com'è noto, accomuna le lingue di minoranza storiche e le nuove minoranze  (Bennamoun/Montrul/Polinsky 2013Aalberse/Backus/Muysken 2019Polinsky 2018), che, non a caso, per lo meno negli approcci funzionalisti, sono considerate lingue ereditarie (Aalberse/Backus/Muysken 2019). Lingue di minoranza e lingue migrate, infatti, sono caratterizzate da tre parametri: (i) sono lingue native, apprese in ambiente naturalistico (Montrul 2016);  (ii) non sono maggioritarie nella società in cui i parlanti vivono (Bennamoun/Montrul/Polinsky 2013); e, infine, (iii) rappresentano un ancoraggio simbolico ancestrale al luogo di nascita e di origine ((Aalberse/Backus/Muysken 2019, 1)

2. Obiettivi dello studio

Nell'accezione più vasta del termine riconducibile a Fishman 1991 e successivamente adottata anche nell'approccio funzionalista allo studio delle lingue migrate (Aalberse/Backus/Muysken 2019), le lingue ereditarie includono sia le lingue di origine immigrata sia le minoranze linguistiche presenti in un dato territorio.

Questa definizione permette di includere nella riflessione anche le lingue ereditarie e, in particolar modo, le lingue deterritorializzate che qui assumo a oggetto di analisi: obiettivo di questo contributo consiste quindi nel discutere criticamente l'insieme delle metodologie tradizionalmente impiegate per la ricerca e l'analisi delle varietà italoromanze nel mondo cercando di evidenziare la necessità di consolidare la riflessione metodologica in seno alla  linguistica migrazionale o migratoria (Krefeld 2002, Albers/Colcuc/Gacia/Mutter/Schmerbeck 2023), anche alla luce della ricerca condotta nello più specifico settore della documentazione linguistica.

3. Approcci alla documentazione dell'italiano all'estero

Com'è noto, l'interesse per l'italiano all'estero può essere ricondotto ai pionieristici lavori di Livingston 1918 e Vaugham. Questi studi, come indicato da Bettoni/Rubino 2010, sono stati condotti in una prospettiva pre-scientifica, prospettiva che si ritrova fino al più recente contributo di Menarini 1947. Questa impostazione è condizionata da due cause concorrenti: da un lato, la collocazione degli studi al di fuori di canoni metodologici della ricerca scientifica e, dall'altro, la scarsa riflessione di tipo metodologico che costituisce sicuramente un limite in questa prospettiva soprattutto per quanto concerne la tipologia di dato alla base delle considerazioni sulla lingua degli italiani all'estero.

Se, soprattutto nella fase successiva dello studio dell'italiano nel mondo, intrinsecamente associata alla linguistica del contatto (Bettoni/Rubino 2010), la riflessione sull'italiano migrato si dota di un paradigma descrittivo, sebbene si possa rilevare ancora un parziale ritardo nelle istanze più propriamente metodologiche con riferimento alla raccolta del dato.  Rientrano in questa casistica gli studi di Timiras 1955Auer/Di Luzio 1984Di Luzio 1991. Se, infatti, le istanze teoriche sono supportate dal paradigma teorica della linguistica del contatto, variamente riconducibile all'opera di Weinreich 1953, le metodologie di costruzione del corpus, con particolare riferimento alle specifiche modalità di documentazione delle pratiche linguistiche osservate, non sono discusse sempre criticamente, ma spesso date per scontate.

Una attenzione, non ancora sempre matura, sulla natura del dato linguistico si ritrova invece nei più recenti contributi di Ciliberti 2007Pasquandrea 2008Rubino 2014, che sicuramente risentono nella riflessione maturata nei lavori di De Fina 2007De Fina 2016: accomunati dalla pratica della registrazione di interviste o di interazioni durante pranzi o eventi familiari, questi lavori assumono come oggetto di ricerca la produzione linguistica orale di migranti diversi per generazione e per profilo sociolinguistico al fine di evidenziare le specificità, in termini soprattutto comunicativi, delle forme dell'alternanza di codice o codeswitching (Muysken 2000)1.

Il riferimento alle modalità di costruzione del corpus, fatta di interviste e interazioni a cena o a pranzo come in Ciliberti 2007, non è sempre il frutto di una riflessione di tipo teorico sulla documentazione linguistica: in ciò, infatti, la ricerca condotta sulle varietà migrate sembra adottare i metodi e gli strumenti teorici (definizioni, quadro teorico, ...) della parallela ricerca di tipo sociolinguistico, con la conseguenza ri-adozione dei medesimi metodi senza un'approfondita riflessione. Si potrebbe quasi arrivare a dire che la linguistica migrazionale concorre alla riflessione sulle medesime istanze teoriche della ricerca linguistica e sociolinguistica, ma non alla riflessione sulla metodologia di raccolta e analisi del dato: in questo ambito, a tratti la linguistica migratoria fa proprie le metodologie della linguistica e della sociolinguistica senza una riflessione approfondita su di esse.

Il parallelismo tra ricerca sociolinguistica e ricerca sulle lingue migrate si riscontra anche nell'approccio macrosociolinguistico: contesti diversi, anche in questo caso, sono indagati con i medesimi metodi che, tuttavia, in questo caso, sono fortemente associati alla ricerca con oggetto lingue migrate. Dai lavori di Fishman 1964bFishman 1965, questo approccio è stato anche adottato alle varietà italoromanze in Australia da Bettoni/Rubino prima e in successivi studi su contesti europei (Di Salvo 2011, Moreno/Di Salvo 2016) ed extraeuropei (Di Salvo 2020).

Il contesto della migrazione, infatti, presenta una serie di peculiarità che andrebbero tenute in conto: in primo luogo, la lingua osservata è una lingua di minoranza; rappresenta un ancoraggio simbolico per i parlanti e non sempre viene mantenuta attraverso le generazioni (Aalberse/Backus/Muysken 2019Polinsky 2018): quest'ultim parametro condiziona le dinamiche di contatto linguistico, rendendole qualitativamente diverse da quelle attestate in situazioni di bilinguismo non indotto da migrazione. 

Sul piano metodologico, l'approccio macro-sociolinguistico e quello micro-sociolinguistico differiscono sulla natura del dato che può essere descritto a partire dalla modellizzazione proposta da Klamer/Moro 2020, 240 rappresentata graficamente alla figura 1. La ricerca microsociolinguistica si basa su protocolli di analisi che mirano alla documentazione di parlato naturale o, al massimo, spontaneo; la ricerca macrosociolinguistica, al contrario, adotta protocolli di inchiesta che prevedono la compilazione (su carta, ma anche su web, ...) di questionari con risposta multipla, con conseguenze sulla possibile discrasia tra piano emico ed etico (Krefeld f). Quest'ultima metodologia prevede necessariamente la raccolta di dato che si configura come [-naturale] e [-spontaneo].

L'approccio macrosociolinguistico difatti non consente di documentare (e quindi) analizzare il reale (non necessariamente spontaneo o naturale) comportamento linguistico dei migranti, quanto soltanto il loro punto di vista in merito. 

4. Approcci alla documentazione delle varietà italoromanze come lingue ereditarie

4.1. Definire le lingue ereditarie

La ricerca sulla lingue deterritorializzate ha, per lo meno negli ultimi vent'anni, adottato la nozione di lingua ereditaria o heritage language (Polinsky 2018), formulata inizialmente dal governo canadese nel 1997 e successivamente transitata nei più diffusi approcci di ricerca contemporanei. Tale cambiamento di prospettiva ha, di fatto, coinciso con una riflessione sui protocolli di inchiesta in quanto, come diremo diffusamente a breve, la ricerca ancorata alla nozione di lingua ereditaria (da ora LE) mira anche all'analisi dei mutamenti e delle variazioni che la migrazione induce mediante un confronto (strutturale) tra LE e la corrispondente varietà parlata nella regione di partenza (baseline variety).

Tuttavia, appare opportuno definire le LE e i parlanti di una LE, definiti nella bibliografia come segue:

a heritage speaker is an early bilingual who grew up hearing (and speaking) the heritage language (L1) and the majority language (L2) either simultaneously or sequentially in early childhood (that is, roughly up to age 5 […]), but for whom L2 became the primary language at some point during childhood (at, around, or after the onset of schooling). As a result of language shift, by early adulthood a heritage speaker can be strongly dominant in the majority language, while the heritage language will now be the weaker language. (Bennamoun/Montrul/Polinsky 2013, 133)     

Un parlante di LE è un bilingue che acquisito in contesto naturalistico la LE e successivamente è diventato dominante nella lingua maggioritaria del Paese di immigrazione: ciò determina che, in età adulta, questo bilingue avrà come lingua debole la sua lingua materna e come lingua dominante quella maggioritaria della società in cui è cresciuto. Questa definizione, prodotta in ambito formale, determina l'esclusione dei migranti di prima generazione, non considerati, per lo meno in questa prospettiva teorica, come parlanti di una LE. I parlanti di prima generazione, infatti, per quanto possano raggiungere livelli elevati di competenza nella lingua maggioritaria del paese di immigrazione, difficilmente ne diventano dominanti.

Una definizione simile è quella data anche da Rothman 2009, 156:

A language qualifies as a heritage language if it is a language spoken at home or otherwise readily available to young children, and crucially this language is not a dominant language of the larger (national) society.

Anche questa  definizione, mediante il riferimento all'apprendimento e alla giovane età dei locutori, finisce, di fatto, con escludere i parlanti di prima generazione che, com'è noto, sono coloro che migrano in età adulta.

Questa è però solo una delle due prospettive di analisi possibili. Nella ricerca di tipo sociolinguistico, infatti, le LE sono definite assumendo come punto dirimente anche il ruolo che esse rivestono in termini di identità e attaccamento alle radici (Aalberse/Backus/Muysken 2019, 1): non solo, quindi,  elementi di natura acquisizionale, ma anche componenti di natura emotiva e culturale.

I due piani, quello della competenza linguistica e quello dell'attaccamento alle radici, non sono però necessariamente sovrapposti nella misura in cui è possibile, soprattutto per le seconde e terze generazioni, mantenere un vivo legame con il paese di origine anche senza che ciò comporti un uso o una competenza effettiva della lingua ereditaria (Goria/Di Salvo 2023).

Per il caso italoromanzo, 

I due approcci, formale e sociolinguistico, presentano delle differenze di natura teorica che hanno, inevitabilmente ripercussioni decisive sul piano della documentazione e interpretazione del dato linguistico. 

In primo luogo, definire un parlante ereditario come un bilingue sequenziale che ha la LE come lingua materna ma che, successivamente alla socializzazione esterna alla famiglia, diventa dominante nella lingua maggioritaria del Paese di immigrazione, assegna un ruolo centrale alla quantità e alla qualità dell'input e nelle dinamiche acquisizionali che rendono i parlanti ereditari diversi tanto dai monolingui quanto dai bilingui non ereditari.

I monolingui, da un lato, sono caratterizzati da un repertorio in cui la lingua primaria coincide con la lingua dominante; nel caso dei parlanti bilingui più prototipici, la L1 è generalmente la lingua dominante dei parlanti, mentre la L2, spesso imparata a scuola, non diventa mai la lingua dominante dei parlanti.  Nei parlanti ereditari, al contrario, si ha quello che Polinsky 2018 ha definito come shift di dominanza: la lingua ereditaria, primaria in relazione all'ordine di acquisizione, non è mai dominante in età adulta; è dominante infatti fino a quando la socializzazione esterna alla famiglia non rende dominante la lingua maggioritaria nella società. Il percorso acquisizionale di questi individui, ancora, si caratterizza per quella che è stata definitiva acquisizione incompleta (incomplete acquisition): a causa del processo di erosione che contraddistingue la prima generazione, questi parlanti sono esposti a un input ridotto, fornito da parlanti (i genitori) che hanno una varietà erosa e semplificata della L1 (Montrul 2016). Questo non accade ai membri della prima generazione che, crescendo in un contesto (prima della migrazione) in cui la lingua primaria coincide con quella maggioritaria della società, sono esposti sin dalla nascita da un input differenziato e non viziato da erosione, quello disponibile nel paese di nascita e in cui avviene la socializzazione interna ed esterna alla famiglia.

Ovviamente, va tenuta in debito conto la complessità della situazione sociolinguistica italiana, definita da Berruto 1995 in termini di dilalia: la madrelingua dei parlanti può essere infatti una varietà di italiano, una varietà di dialetto o una varietà di minoranza linguistica. In questi ultimi due casi, è possibile, soprattutto nelle migrazioni più recenti, che i parlanti siano parlanti nativi di una varietà non maggioritaria (un dialetto e/o una lingua di minoranza) e dominanti di una varietà di italiano (regionale, neostandard), con un processo di slittamento tra una varietà italoromanza all'altra. Tali dinamiche, in parte ricostruite da Vedovelli 2012, devono essere considerate in quanto spesso la documentazione delle pratiche linguistiche migranti coincide con lo studio di pratiche già plurilingui: numerosi studi infatti documentano come i migranti all'estero possano alternare le varietà italoromanze da loro conosciute (Del Vecchio 2023Di Salvo 2012).

Ciò ha spinto alcuni studiosi ad evidenziare le criticità della nozione di LE con riferimento al caso specifico di studio delle varietà italoromanze (di salvo 2019): la definizione prototipica di LE, infatti, presuppone la coesistenza di una lingua di origine con un'altra lingua, maggioritaria nel Paese di immigrazione, che diventa dominante per i parlanti, soprattutto per quelli di seconda generazione: tuttavia, la storia linguistica dell'emigrazione italiana ricostruita da Vedovelli 2012, ha mostrato la varietà di repertori linguistici presenti nelle comunità italiane nel mondo.

Ciò è dovuto al fatto che i migranti italiani, nelle diverse epoche della storia linguistica della migrazione, sono partiti con competenze linguistiche diverse in italiano e in dialetto. Pertanto, risulta evidente considerare le varietà di italiano e dialetto presenti all'estero in termini di repertorio linguistico (di salvo 2019, Goria/Di Salvo 2023)

Certo p che i due parametri individuati per definire le LE (shift di dominanza e acquisizione incompleta; cfr. Polinsky 2018) sono prototipici della seconda generazione e fungono, nella prospettiva formale, come tratti distintivi dei parlanti ereditari2

Al contrario, nell'approccio che fonda le sue radici nella linguistica funzionalistica e nella sociolinguistica, il tratto caratterizzante delle lingue ereditarie è il legame alle radici: se si assume come dirimente questo criterio, allora, la definizione di parlante di LE deve necessariamente allargarsi fino a includere i parlanti di prima generazione. Questi soggetti, pur non avendo shift di dominanza nè acquisizione incompleta per le motivazioni suddette, continuano a considerare la lingua di origine come parte integrante del proprio bagaglio identitario (cfr. Aalberse/Backus/Muysken 2019).

In questo approccio, obiettivo  dell'analisi coincide con (i) la descrizione della variazione e del mutamento che contraddistinguono le LE (Nagy 2015) (ii)l'individuazione dei fattori extralinguistici (sociali) che concorrono a determinare la variazione linguistica, secondo quanto definito, su di un piano più generale, dalla ricerca sociolinguistica. Gli studi sociolinguistici sulle LE hanno adottato, da un lato, una prospettiva diacronica, assumendo come punto di osservazione della variazione la trasmissione intergenerazionale, e, dall'altro, la variazione tra varietà parlate all'estero come lingue migrate e le corrispondenti varietà parlate nella madrepatria (per una rassegna si rimanda a Goria/Di Salvo 2023).

Nel primo caso (diacronia intergenerazionale), il modello analitico di riferimento è quello del pionieristico lavoro di Silva-Corvalàn 1994 sul mantenimento dello spagnolo  a Los Angeles; per gli studi sulle varietà italoromanze si rimanda a Del Vecchio 2023. Negli approcci legati all'analisi sulla variazione tra LE e lingue parlate nella madrepatria rientra, tra gli altri, il progetto coordinato da Naomi Nagy e intitolato Heritage languages variation and change (Nagy 2009, Nagy 2015). 

Il terzo filone di ricerca che è possibile collocare all'interno del paradigma sociolinguistico riguarda l'analisi delle forme dell'alternanza di codice tra LE e lingua maggioritaria del Paese di immigrazione: in questo filone è possibile includere i lavori di Di Salvo 2018, Del Vecchio 2023, Di Salvo 2012.

Gli approcci qui brevemente descritti hanno in comune l'analisi della divergenza o variazione della LE rispetto a quella parlata nella madrepatria da parlanti senza alcuna esperienza di migrazione. Per misurare la distanza (mutamento e variazione) tra le due varietà, diventa necessario documentare ed analizzare parallelamente la LE e la cosiddetta baseline variety (Aalberse/Backus/Muysken 2019Polinsky 2018): questo vale sia per l'approccio generativista sia per quelli che, pur muovendosi all'interno della ricerca più sociolinguistica, presuppongono l'analisi del mutamento e della variazione strutturale, indotta o meno da contatto. 

4.2. Definire i metodi della ricerca sulle lingue ereditarie

L'apparato metodologico elaborato e consolidato in seno alla ricerca incentrata sulla nozione di lingua ereditaria o heritage language riflette la presenza di due approcci che corrispondono, rispettivamente, agli orientamenti generativisti da un lato e sociolinguistici dall'altro. In ogni caso, alcune convergenze metodologiche sono possibili, soprattutto per quelle ricerche che prevedono un'analisi comparativa tra la LE e la corrispettiva baseline. 

Tale metodologia di ricerca prevede un confronto sistematico tra i parlanti ereditari e parlanti, idealmente monolingui, residenti nella madrepatria e senza alcuna esperienza di migrazione pregressa: tale confronto permette infatti di individuare e descrivere mutamenti intervenuti nella LE a seguito della migrazione e, quindi, del contatto con la lingua maggioritaria del Paese di immigrazione e dell'interruzione dell'esposizione alla varietà di origine, condizione, quest'ultima, che potrebbe innestare processi erosione e semplificazione strutturale (Polinsky 2018)

Tale metodologia è stata ampiamente applicata allo studio delle LE nel mondo (Montrul 2016, Bennamoun/Montrul/Polinsky 2013, Montrul/Bateman 2020, Nagy 2015). In questi studi, in particolare, il comportamento di parlanti adulti una LE viene comparato con parlanti adulti monolingui residenti nella madrepatria e privi di pregresse esperienze di emigrazione. In casi meno frequenti, tuttavia, il gruppo di confronto può essere costituito da bambini: questo tipo di approccio, quasi esclusivo della linguistica teorica, è legato all'analisi del ruolo dell'input (Montrul 2016).

La possibilità di comparare parlanti del patrimonio con parlanti residenti della madrepatria, siano questi ultimi adulti o bambini, presenta non poche difficoltà come già indicato da Aalberse/Backus/Muysken 2019 e da Pires/Rothman 2009 che, in un contributo sugli infiniti flessi in portoghese, evidenziano la necessità di confrontare le varietà deterritorializzate con quelle parlate da analfabeti residenti nel Paese di origine al fine di escludere gli effetti della scolarizzazione: la scolarizzazione nella madrepatria infatti è considerata da Pires/Rothman 2009 come decisiva. Quando quindi si costruiscono i corpora da comparare è opportuno tenere in considerazione una pluralità di fattori che la rendono spesso difficoltosa.

Attraverso alcuni riferimenti cercheremo di evidenziare alcune criticità. In numerose ricerche, sono coinvolte persone nate nella stessa regione di origine dei migranti residenti all'estero con protocolli di inchiesta simili: nel progetto Heritage Languages Variation and Change, coordinato da Naomi Nagy (Nagy 2011), per esempio, il protocollo di un'intervista semi-strutturata con domande aperte è posto sia ai migranti calabresi di prima, seconda e terza generazione residenti a Toronto e a informatori calabresi tuttora residenti in Calabria e privi di precedenti esperienze all'estero. Per quanto i protocolli siano i medesimi, è possibile cogliere alcuni limiti della strategia di costruzione del campione in quanto, in Canada i parlanti di prima generazione sono generalmente anziani e poco scolarizzati, generalmente cresciuti in un contesto contraddistinto dalla posizione maggioritaria del dialetto (l'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta), mentre il gruppo di confronto è costituito anche da soggetti più giovani, spesso altamente scolarizzati e soprattutto maggiormente esposti a varietà di italiano (e non solo di dialetto). Al netto di un'origine comune, la diversa composizione dei due gruppi sull'asse diastratico potrebbe incidere sui corpora raccolti, falsando quindi l'interpretazione del dato. In secondo luogo, nel progetto citato, il focus è sull'italiano (regionale) parlato dai calabresi di prima, seconda e terza generazione residenti a Toronto in comparazione con quello raccolto in Calabria presso persone prive di esperienze migratorie: i parlanti provengono dalla medesima regione, non si fa riferimento al singolo comune di provenienza. In questo progetto, in particolare, la diversità orizzontale tra dialetti e aree linguistiche diverse dalla Calabria non viene considerata e i parlanti calabresi sono comparati tra di loro, anche se parlanti di dialetti/varietà di italiano strutturalmente diverse. Questa scelta presuppone il limite di non poter verificare se una variazione possibile sia l'effetto di una variazione presente nei dialetti di partenza a cui non si fa mai riferimento.

Per far fronte a tali limiti, più recentemente nello studio di di salvo 2019 è stato selezionato un gruppo di confronto che rispecchia le caratteristiche sia diatopiche sia diastratiche della prima generazione di italiani residenti nelle comunità inglesi di Bedford e Peterborough: in particolare, tanto i parlanti inclusi nel gruppo di confronto quanto quelli di prima generazione sono tutti nati nel comune irpino di Montefalcione, hanno avuto come lingua materna il dialetto e hanno un livello di istruzione basso.

Questo consente di valutare non solo le eventuali divergenze nelle forme dell'italiano regionale ma anche i processi di convergenza e di innovazione che riguardano invece il polo del dialetto locale, secondo un approccio che tenta di mettere in rilievo come i migranti italiani siano in realtà parlanti di più varietà di dialetto e di italiano.

5. Protocolli di inchiesta sull'italiano LE

Le metodologie impiegate nei principali di lavori sulle varietà italoromanze che si collocano nel quadro teorico (generativo o sociolinguistico) legato alla nozione di lingua ereditaria sono molteplici. Essi possono essere raggruppati in tre tipologie.

La prima è rappresentata dalle ricerche che si basano su dati percettivi elicitati mediante questionario sociolinguistico: dati legati alle ideologie e alle percezioni dei parlanti, spesso non fedeli all'uso linguistico reale (non necessariamente naturale), possono essere utili per elaborare riflessioni sulla composizione dei repertori migrati, per comprendere come essi siano cambiati dopo la migrazione e attraverso le generazioni. Essendo spesso costruiti da domande con risposta a scelta multipla (e quindi chiusa), essi consentono di elicitare dati con un numero elevato di parlanti e di valutare, posta la somministrazione dello stesso questionario, la possibile variazione tra gruppi di parlanti diversi per età, genere, luogo di residenza, ondata migratoria, ecc..  Lo studio di Moreno/Di Salvo 2016, ad esempio, ha dimostrato la presenza di differenze interessanti tra la comunità italiana di Bedford con quella di Liegi: nel primo caso, la comunità ha come lingua della relazione in-group il dialetto e assegna un ruolo marginale all'italiano e all'inglese, usati rispettivamente in conversazioni formali esterne alla rete familiare e amicale e in interazioni con estranei (anglofoni); a Liegi, invece, l'uso del dialetto è considerato meno frequente, mentre è più diffuso il francese, di cui i parlanti di prima generazione hanno dichiarato una maggiore competenza rispetto ai parlanti della medesima generazione residenti a Bedford. Le due comunità, ancora, sembrano distinguersi anche per quello che concerne la trasmissione intergenerazionale: a Bedford il dialetto è generalmente adoperato anche con i figli, anche per il valore identificativo delle radici che lo rende la LE prototipica; a Liegi, la trasmissione del dialetto è poco frequente mentre è preferita quella dell'italiano, perchè è questa la varietà che si considera simbolica in termini di attaccamento alle radici.

Differenze significative sono emerse anche dal confronto effettuato tra la comunità italiana di Bedford e quella di Toronto (Di Salvo 2020): questo confronto, legittimato anche dalla presenza, in entrambe le comunità, delle medesime lingue a contatto (dialetto, italiano, inglese), mostra come la comunità canadese presenta un tasso di shift maggiore che a Bedford; questo si riflette nei dati sulla trasmissione che evidenziano la tendenza a trasmettere il dialetto prevalentemente in Inghilterra. 

La seconda tipologia di metodologia adoperata per la raccolta di dati, anch'essi non di parlato, è costituita dai task, che vanno dalla nota Frog Story  fino alla descrizione di cartoni animati (Moro 2016). Questi dati permettono di elicitare parlato spontaneo, per quanto non naturale: spontaneità e naturalezza, infatti, non sono sovrapponibili (Klamer/Moro 2020).

Sono collocabili tra i metodi non naturali anche quelli che, esclusivamente negli approcci generativisti, prevedono la raccolta di giudizi di accettabilità e grammaticalità delle strutture della LE: un esempio pertinente di tale metodologia è offerto, tra gli altri, dai numerosi lavori sulla marcatura differenziale dell'oggetto nello spagnolo negli Stati Uniti d'America, accomunati dall'impiego di un questionario attraverso il quale i parlanti ereditari sono invitati a giudicare l'accettabilità e la grammaticalità delle forme proposte (Montrul/Bateman 2020, Montrul/Sánchez-Walker 2013, Ticio/Avram 2015). 

Per l'italiano e le varietà italoromanze, è qui opportuno un riferimento al già citato progetto Microcontact, diretto da Roberta D'Alessandro. In questo progetto, uno stimolo audio viene sottoposto ai parlanti ereditari. A essi viene successivamente chiesto di individuare la forma ritenuta più accettabile in modo da ricostruire, anche mediante un confronto con dati di parlato spontaneo, la "grammatica" delle LE.  Tale approccio, a mio parere, contiene per lo meno due criticità: da un lato, sono note le difficoltà dei parlanti ereditari a rispondere a questo  tipo di domande (Polinsky 2018, Polinksy 2019) e, dall'altro, nel progetto il riferimento al parlato spontaneo non viene supportato da un'adeguata descrizione dei metodi di elicitazione, probabilmente per effetto della scarsa propensione ad una riflessione sulla documentazione linguistica che, in ambiente generativo, è ancora più marcata rispetto a quella prodotta in seno a paradigmi più sociolinguistici.  Il confronto, forse, sarebbe più proficuo se i dati elicitati fossero comparati con dati naturalistici.

La stessa perplessità potrebbe essere indotta anche dallo studio sintattico di Krefeld 2019w: le risorse multimediali qui contenute consentono  una comparazione tra le varietà parlate in Calabria con le corrispondenti LE. Tuttavia, rispetto allo studio della D'Alessandro, questo atlante sintattico si basa su premesse teoriche legate a concetti come punto linguistico, che sono testimonianza di una maggiore sensibilità sociolinguistica degli Autori, sensibilità che garantisce e consente comparazioni certo puntuali a livello microareale.

Il tipo di dato raccolto mediante il questionario, come abbiamo detto, è formato da auto-valutazioni del parlante e, pertanto, questo strumento di indagine esclude, di fatto, la documentazione dell'uso linguistico spontaneo/naturale dei parlanti: come ho avuto modo di ricordare al paragrafo precedente, alcune ricerche, per ovviare a questi limiti, hanno adottato tecniche per la documentazione di un parlato più vicino al polo della naturalezza, video-registrando interazioni spontanee, spesso senza la presenza del ricercatore che costituisce, per ovvie ragioni, un elemento che certamente condiziona la produzione linguistica dei partecipanti all'evento comunicativo (Ciliberti 2007Pasquandrea 2008).

Alcune innovazioni metodologiche che hanno consentito di limitare l'effetto del paradosso dell'osservatore, individuato già da Labov, sono state una conseguenza della pandemia codiv-19 che, imponendo restrizioni alla mobilità e alle interazioni sociali, ha di fatto condizionato i progetti di ricerca che prevedevano, in quei mesi, una raccolta dati. Una soluzione alternativa è stata quella proposta da Del Vecchio 2023 che, a causa delle restrizioni durante il lockdown di marzo 2020,  ha dovuto annullare la sua prima raccolta dati relativi alla comunità beneventana di Bletchley (Gran Bretagna); ha pertanto chiesto ad alcuni contatti di registrare appuntamenti e conversazioni spontanee e naturali che avvenivano in contesto familiare. Successivamente, in sede di analisi e interpretazione dei risultati, questi dati sono stati comparati con dati raccolti dalla studiosa successivamente tramite intervista.  La comparazione ha mostrato una variazione nelle manifestazioni del contatto linguistico. Chiaro è che l'utilizzo di materiali registrati in maniera informale ha, anch'esso alcuni limiti: i limiti possono riguardare in primo luogo la qualità dell'audio  che certamente è condizionata dalla presenza simultanea di più parlanti e dall'assenza di un intervistatore che assegna i turni di parola, condizioni che potrebbero determinare sovrapposizioni frequenti; essi ancora potrebbero anche riguardare questioni connesse alla privacy, oggi assai stringenti.

Spontaneo e non naturale è invece il parlato raccolto mediante intervista, che, spesso in aggiunta a metodi macrosociolinguistici (il questionario) e/o ecologici come l'osservazione partecipante, consente analisi strutturali, di tipo differenziato e sui diversi livelli di analisi. Questa metodologia è ampiamente adoperata negli studi di impianto sociolinguistico ed è stata applicata a numerosi casi di studio. Per le varietà italoromanze rimando a Goria 2021a, Di Salvo 2012Rubino 2014, Cerruti/Goria 2021Cerruti/Goria/Regis in press.

Il parlato oggetto di questi contributi è spontaneo, ma certamente non naturale, per via della presenza del ricercatore e di un protocollo di inchiesta, per quanto spesso non usato in maniera rigida.

La possibilità di accedere a produzioni naturali e non solo spontanee si potrebbe avere se si adotta come oggetto di analisi la comunicazione scritta dei migranti, come fatto da Di Salvo/Ferrini 2022 che hanno preso in esame alcune decine di post pubblicati su facebook da discendenti di emigrati italiani negli Stati Uniti. Questo permette di avere dati naturali e spontanei e, allo stesso modo, pubblici.

Conclusioni

Da questa rassegna dei metodi adottati nella ricerca sulle varietà italoromanze all'estero, sia in paradigmi generativi sia in paradigmi funzionalisti, sono emersi alcuni aspetti che meritano una riflessione ulteriore. Da un lato, al netto della diversa visione delle LE sottesa ai due paradigmi, il confronto tra le metodologie impiegate nella ricerca generativa e  sociolinguistica ha fatto emergere la problematicità di costruire corpora paralleli che consentano il confronto tra LE e lingua parlata nella madrepatria (Aalberse/Backus/Muysken 2019).

In secondo luogo, assumendo come punto di osservazione la proposta di Klamer/Moro 2020 che distingue il dato sull'asse controllato vs. naturale, si deve rilevare come la ricerca attuale sia, da un lato, ancorata a metodologie di elicitazione che tendono verso il polo del controllo: dai test finalizzati alla raccolta di giudizi di accettabilità/grammaticalità ai task, fino a interviste con questionario sociolinguistico e/o autobiografiche, che consentono sì la documentazione di parlato spontaneo, ma non in contesto naturalistico. 

Sappiamo, infine, dalla bibliografia relativa alla language documentation che il divario tra dati più o meno spontanei è spesso profondo e incolmabile. Valgano, come esempio, le conclusioni di Klamer/Moro 2020, 266 che hanno comparato dati elicitati mediante la Frog story con dati di parlato spontaneo:

The linguistic variables that can be used to measure degree of naturalness of oral narratives include lexical density defined as noun-pronoun ratio, the frequency of direct speech reports, and tail-head linkage, as well as speech rate. These measures apply in languages of different genetic affiliation and with different typological profiles. It has long been known that using visual prompts to elicit narratives has benefits, but also comes with the cost of losing naturalness, and here we have indicated ways to measure this cost.

Da queste considerazioni, appare chiaro che la linguistica della migrazione e, al suo interno, i recenti paradigmi di ricerca stentano ad adottare metodologiche che siano basate sui presupposti e sulle riflessioni elaborate in senso alla documentazione linguistica. Questo, a mio avviso, potrebbe dipendere da uno stereotipo segnalato (ma non debitamente approfondito) da Polinksy 2019, e227 quando scrive:

Although this description does not say any-thing about ‘rugged terrain’ or a ‘remote and exotic’ location, people often associate fieldwork with those kinds of realities. For some, working on an emerging German dialect in Berlin counts less as fieldwork than studying a heretofor unknown language in Papua New Guinea. Right or wrong, this pereception persists in our field, alongside the image of a fieldworker as a sesasone (??) and undemanding traveler whose features have been weathered under the sun, who can eat anything, who can live in a primitive setting, and who thrives on all of these challenges in order to produce new data

Non è tanto ad essere pertinente in questa sede l'associazione tra documentazione linguistica e contesti esotici e con lingue ancora totalmente da descrivere quanto piuttosto l'altra faccia della medaglia, ossia che non sia necessario approfondire gli aspetti legati alla documentazione delle LE che, di solito, sono lingue già descritte e non a rischio di estinzione (per lo meno nella madrepatria). L'assenza di riflessione sui metodi, basata dalla mancata istanza di preservazione delle LE, si riflette però, sulla ricerca nella misura che spinge i ricercatori ad avere a che fare con dati controllati, spontanei e solo raramente naturali. Su di un piano più generale, si assiste una ripartizione tra sotto-discipline che è certamente contro-produttiva, soprattutto per la linguistica migrazionale che, per sua natura, deve necessariamente fondarsi su un apparato teorico interdisciplinare.

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Questo oggetto di ricerca, in questi stessi anni, è trasversale a diverse comunità migranti nel mondo (Bailey 2000Gardner-Chloros 1987Myers-Scotton 1993).
Opportuno ricordare che in questa prospettiva di analisi i parlanti di prima generazione non sono considerati come parlanti ereditari, ma come forgottens (Polinsky 2018)/note].

Il focus della ricerca formale, date queste premesse, ricade sugli aspetti interni al sistema linguistico, da intendere come sistema grammaticale (D'Alessandro/Putnam/Terenghi in press)3Studi sull'italiano sono quelli che sono stati condotti da Roberta D'Alessandro e colleghi all'interno del suo  progetto di ricerca ERC Microcontact (cf. https://www.bing.com/search?q=d%27alessandro+microcontact&cvid=2ca945b2a2d04a6a95096c580580537c&gs_lcrp=EgZjaHJvbWUyBggAEEUYOdIBCDQwNTlqMGo0qAIIsAIB&FORM=ANAB01&PC=LCTS).

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