L’italiano in Brasile

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Keywords: Brazil , dialect , Italian , Talian

Citazione:
  1. Riferimento a tutto il contributo:
    Mario Luis Monachesi Gaio (2018): L’italiano in Brasile, Versione 1 (04.10.2018, 10:19). In: Roland Bauer & Thomas Krefeld (a cura di) (2018): Lo spazio comunicativo dell’Italia e delle varietà italiane (Korpus im Text 7), Versione 90, url: https://www.kit.gwi.uni-muenchen.de/?p=18926&v=1
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Abstract

In questo articolo, parliamo dell’italiano in Brasile affrontando aspetti linguistici e culturali, nonché l’importanza degli italiani in questo paese, la cui presenza risale addirittura ad un periodo precedente al suo ritrovamento, nel 22 aprile 1500. Nel campo linguistico in particolare, parliamo del Talian, una varietà della lingua veneta ancora parlata nel sud del Brasile. Successivamente, presentiamo le influenze italiane nella cultura brasiliana non tralasciando il periodo tra le due guerre mondiali del ventesimo secolo, durante il quale il governo italiano si sforzò per mantenere un senso di identità italiana tra gli immigrati e i loro discendenti. In base ai concetti di belonging (Brubaker & Cooper, 2000; Anthias, 2006; 2013 e Pfaff-Czarnecka, 2011; 2013) e transculturalità (Welsch, 1999), presentiamo la definizione di Brasileirítalo (Gaio, 2018), diversa da italo-brasiliani con il trattino oppure “italiani” per una condizione ereditata (Lesser, 2015). Il Brasileirítalo è un individuo brasiliano a tutti gli effetti, ma che manifesta tratti linguistici e culturali italiani individuali in una dimostrazione di etnicità in movimento. Infine, esponiamo alcuni dati storici e statistici, oltre ad indicare le recenti iniziative di valorizzazione della lingua e della cultura degli italiani in questo vasto territorio chiamato Brasile.

1. Introduzione

La presenza degli italiani sul territorio attualmente definito come Brasile è di lunga data. Nonostante ci siano controversie al riguardo, Amerigo Vespucci sarebbe arrivato sulla costa brasiliana nel 1499, circa un anno prima di Pedro Álvares Cabral e dei suoi uomini. E ciò senza considerare Cristoforo Colombo, lo “scopritore” dell’America e anche lui italiano, perché se l’America è un unico continente, allora Cabral non è stato un pioniere.  Anzi, se è stato Colombo a scoprire l’America, perché non si chiama Columba, come all’epoca dibatteva con veemenza Frate Bartolomeu de las Casas (D'Ambrosio 1996, p. 15)? Questa, tuttavia, è una questione da discutere in un’altra sede. Fatto sta che la presenza degli italiani nella storia brasiliana è molto più solida di ciò che sembra. Dal giorno del ritrovamento ufficiale, 22 aprile 1500, passando per il matrimonio di Don Pedro II con la napoletana Teresa Cristina de Bourbon, principessa del Regno delle Due Sicilie, l’Italia è stata sempre presente nella storia brasiliana (De Laytano 1987, p. 9-12).

Nonostante la storia del Brasile abbia sempre contato su questa solida presenza degli italiani, è evidente che l’influenza italiana sulla cultura brasiliana si sia consolidata, a partire dalla seconda metà del secolo XIX, con la cosiddetta “immigrazione di massa”. È prassi considerare l’anno 1875 la pietra miliare dell’immigrazione italiana in Brasile. L’entrata di diverse famiglie di immigranti provenienti soprattutto dalle regioni del nord d’Italia, prima fra tutte il Veneto, e dirette agli stati dell’Espírito Santo e del Rio Grande do Sul, inaugura il periodo dell’immigrazione di massa degli italiani. Tuttavia, si deve considerare che nel 1836 un gruppo di immigranti, originari dell’allora Regno di Sardegna, era sbarcato nello stato di Santa Catarina. Questa è la data che le autorità di quello stato e i ricercatori rivendicano come l’inizio veridico dell’immigrazione italiana in Brasile. Questioni politiche a parte, è indiscutibile che, a partire dal 1870 fino alla prima metà del secolo XX, il Brasile sia stato la destinazione di milioni di italiani.

La figura qui sotto illustra il tragitto percorso dalla maggioranza degli emigranti che si diressero verso le principali mete dell’America meridionale (Brasile, Argentina e Uruguay). In Brasile essi occuparono soprattutto gli stati delle regioni sud e sudest.

Tragitto e mete degli emigranti italiani diretti in Sud America.

Esiste un’abbondante letteratura sull’immigrazione in Brasile, ma ciò che più si studia è la prospettiva storica, non quella linguistico-culturale. Questa scarsa attenzione si deve a più fattori, tra questi la negazione da parte dell’élite culturale del Brasile, dell’importanza degli elementi europei e asiatici nella formazione dell’identità brasiliana. Si è affermato così, nel corso degli anni, il concetto che il fenomeno migratorio non sia una parte importante della storia del Brasile. Fa eccezione il Rio Grande do Sul, stato dove gli aspetti linguistici e culturali non possono essere celati. Nel caso specifico dell’italiano, l’accademia preferisce promuovere la grande tradizione culturale di quel paese piuttosto che studiare gli effetti di questo contatto culturale e linguistico (Frosi; Raso 2011, p. 318-319).

2. Tratti culturali e linguistici

L’immigrazione di massa in Brasile ha caratteristiche urbane e rurali. Nel sud del paese e nello stato dell’Espírito Santo, è stata di natura rurale. I coloni1 occuparono territori disabitati2, mentre in altre aree, come gli stati di São Paulo, Minas Gerais e Rio de Janeiro, è invece prevalso il carattere urbano, nonostante molti immigranti siano stati inviati a lavorare nelle fazendas di caffè per sostituire la manodopera schiava. In ogni caso non si trattava dell’occupazione di territori disabitati. A titolo di esempio, nel 1893 il 35% della popolazione della città di São Paulo era composta da italiani, mentre nel 1916 essi erano il 37%, dando ai visitatori l’impressione di essere una città italiana (Trento 2000, p. 77 e 79) al punto che Mussolini, in un discorso del 1920 a Trieste, proclamò la predominanza nello stato di São Paulo della lingua e della cultura italiane, tale era la preponderanza numerica degli italiani (Orano 1937, p. 21 apud Bertonha 1998, p. 53, nota 12). Per citare un esempio dello stato di Minas Gerais, nel municipio di Juiz de Fora, porta d’ingresso degli immigranti nello stato, gli italiani erano l’11% della popolazione urbana (Gaio 2013). È da osservare che, in base allo ius soli, i figli degli immigranti nati in Brasile erano censiti come brasiliani.

Regioni sudest e sud del Brasile e i suoi rispettivi stati federati

La presenza urbana degli italiani a São Paulo era molto consistente. Tra le Associazioni di Mutuo Soccorso create come forme di sicurezza sociale, quelle italiane erano le più numerose. “Nello stato di São Paulo, per esempio, delle 91 società di immigrati, 61 erano italiane.” (Gasparetto Jr. 2011). Due associazioni sportive, oggi di rilievo internazionale, furono fondate per rappresentare gli italiani in Brasile, entrambe denominate Palestra Italia. La prima nella città di São Paulo, nel 1914. La seconda a Belo Horizonte (MG), nel 1921. Siccome in occasione della seconda guerra mondiale il Brasile proibì di denominare entità, istituzioni e imprese con termini che ricordassero l’Italia, queste associazioni furono costrette a cambiare il loro nome. Il Palestra di São Paulo divenne Sociedade Esportiva Palmeiras (Società Sportiva Palmeiras), e quello di Belo Horizonte, Cruzeiro Esporte Clube (Club Sportivo Cruzeiro). Il Palmeiras non ha mai modificato i suoi colori – verde con dettagli bianchi. Il Cruzeiro, invece, che era verde e rosso al momento della sua fondazione, adottò poi l’azzurro in omaggio alla tradizionale uniforme usata dagli italiani nelle gare sportive. 

La storia della Sociedade Esportiva Palmeiras (Società Sportiva Palmeiras) comincia nel 1914, quando il sogno di grande parte degli immigrati italiani nella città di São Paulo divenne realtà. Stimolati dall’escursione in Brasile del Torino e del Pro-Vercelli all’inizio del secolo XX, i giovani Luigi Cervo, Luigi Marzo, Vincenzo Ragognetti ed Ezequiel Simone attraverso il giornale Fanfulla, organo di stampa rivolto agli oriundi, invitarono tutti gli interessati a fondare un’associazione sportiva che rappresentasse l’immensa colonia come meritava.3

Il Cruzeiro Esporte Clube (Club Sportivo Cruzeiro) nacque il 2 gennaio 1921, con il nome di Società Sportiva Palestra Italia, per opera degli sportivi della comunità italiana a Belo Horizonte. Dopo più di 95 anni di storia, il Club si è trasformato in una delle maggiori associazioni sportive del mondo.4

Nella maggior parte del paese questo numero espressivo di immigrati non fu sufficiente a preservare la lingua. In primo luogo, perché l’italiano non era la L1 della maggioranza. Prendendo l’esempio di São Paulo, Trento 2000, (p. 79) afferma che

Soprattutto in alcuni quartieri del centro, tale etnicità era palpabile e prendeva corpo attraverso le insegne dei negozi, i nomi delle strade, le devozioni religiose, l’abbigliamento, le costruzioni e il vociare confuso nelle vie dove l’idioma di Dante e i vari dialetti risuonavano più del portoghese e inducevano anche i nativi a farli propri (il grassetto è nostro).

São Paulo attrasse immigranti da quasi tutte le parti del mondo, non si limitò agli italiani, e quest’ultimi provenivano da tutta l’Italia, un vero e proprio mosaico linguistico5. Lo stesso accadde negli stati di Minas Gerais e di Rio de Janeiro. Oltre che per la deflagrazione della seconda guerra mondiale, durante la quale l’Italia si trasformò in un paese nemico per alcuni anni, la trasmissione della lingua, sia pur nelle forme regionali, subì una battuta di arresto, anche perché negli anni 30 del secolo passato la politica linguistica dello Stato Nuovo reprimeva l’uso delle lingue straniere.

Nel contesto rurale, a causa del maggior isolamento e anche della comune origine, le regioni del nord Italia, prima fra tutte il Veneto, la lingua degli immigrati fu tramandata e conservata per più tempo. Nell’Espírito Santo non ci sono già più parlanti, ma esistono, ancora ben riconoscibili, tratti dei substrati fonetici delle varianti venete in alcune parlate dell’entroterra dello stato, come la consonante vibrata /ɾ/ e la sostituzione della pronuncia della vocale nasale /ã/ nei dittonghi nasali tonici; /ãw/ si trasforma in /õ/6 (Loriato; Peres 2013); (Peres; Cominotti; Dadalto 2015); (Peres; Meneghel 2017). Nel Rio Grande do Sul, invece, soprattutto nel nordest dello stato, e anche in quello di Santa Catarina, la lingua fu tramandata per un periodo più lungo e oggi è costituita dal talian, catalogato nell’ethnologue7 come una variante del Veneto.

Frosi; Raso 2011 esplicitano sinteticamente alcune delle costruzioni frasali tipiche degli abitanti del nordest del Rio Grande do Sul, regione che si distingue per la forte presenza italiana. Le frasi in Portoghese regionale, elencate qui sotto, seguono la struttura delle parlate venete impiegando lessico del portoghese brasiliano (d’ora in poi PB). Queste espressioni, ancora in uso nelle zone rurali della regione suddetta, non sono facilmente comprese, o non lo sono affatto, dai brasiliani di altre regioni. Riporto qui gli esempi illustrati da Frosi; Raso 2011, (p. 332), aggiungendo una colonna per il PB e una per l’italiano:

 

Portoghese brasiliano

Portoghese regionale

Talian

Italiano

Ela cresceu grande e bonita que nem sua mãe

Ela veio fora grande e bonita que nem sua mãe

Ela l’e vegnesta fora grande e bela come so mare

È venuta grande e bela come la mamma

Em vez de trabalhar, ele fica enrolando

Ele vai em de redor em vez de trabalhar

Lu el va intorno invece de laorar

Raggira invece di lavorare

Ele vem lá no bar jogar baralho

Ele vem lá na bodega jogar cartas

Lu el ién là in te la bodega a zogar carte

Lui viene in bottega a giocare a carte

Fui na casa da vovó, ela foi ao médico

Fui là embaisso da nona, ela foi do dotor

Son’nda zo dela nona, la xe ndada dal dotor

Sono andato dalla nonna, lei è andata dal dottore

Quem comeu o bolo/a torta?

Quem que comeu a torta?

Chi che ga magnà la torta?

Chi há mangiato la torta?

Quem viu o garoto/guri?

Quem que viu o guri

Chi che ga visto el toso?

Chi ha visto il bambino?

Arregacei as mangas

Me fiz pra cima as mangas

Mi son fa sul e maneghe

Mi sono rimboccato le maniche

Me deu raiva

Me veio pra cima os sete minutos

Me vegnesto su i sete minuti

Mi ha fatto venire su la rabbia

Não cheguei a tempo de encontrá-lo em casa

Não fiz hora de pegá ele em casa

No go mia fa ora de ciaparlo a casa

Non ho fato in tempo a trovarlo a casa

Não consegui achar a chave

Não fui capaz de achar fora a chave

No son mia sta há de trovar fora la ciave

Não sono stato capace de trovar ela chiave

O homem fez o ladrão fugir

O homem fez fora o ladrão

L’om el ga fa fora el ladro

L’uomo há fato fuori il ladro

O seu serviço era trazer o vinho para o almoço

O seu serviço era de arrancar o vinho pro almoço

El so mestier l’era quel de cavar el vin per l’disnà

Il suo lavoro era quello di ortarei l vino per il pranzo

Venha nos visitar!

Vem ainda lá de nós

Ién ancora là da noialtri

Vieni ancora da noi!

(Frosi; Raso 2011, p. 332 adattato)

Tuttavia, le difficoltà per preservare la lingua furono enormi durante tutto questo periodo ed è veramente degno di nota che si sia conservata per tanto tempo. Gli immigrati e i loro discendenti soffrirono una forte stigmatizzazione sociolinguistica. Era frequente associare i dialetti dei coloni ai difetti dell’individuo rozzo, maleducato, incolto, ignorante (Frosi; Raso 2011, p. 328).

All’inizio del secolo XX il processo di sviluppo della regione subì un’accelerazione. Con la costruzione delle strade che collegavano le comunità, il contatto tra i dialetti si intensificò. Così, i diversi idiomi parlati dai coloni cominciarono ad assimilarsi gli uni agli altri e, allo stesso tempo, a essere assimilati.

Risultato di incroci dialettali, si formò una parlata che andava oltre il dialetto, con caratteristiche soprattutto venete, una koinè di uso generalizzato tra i parlanti italiani, anche nel caso degli italo-brasiliani di origine lombarda, friulana o trentina (Frosi; Raso 2011, p. 327) 

La coltivazione dell’uva e la produzione industriale del vino passarono a essere l’elemento trainante dell’attività economica della regione. Allo stesso tempo il governo brasiliano istituiva la campagna di nazionalizzazione dell’insegnamento. Il portoghese, quindi, assunse un ruolo maggioritario su entrambi i fronti. Come se ciò non bastasse, la comunicazione in lingua straniera venne proibita e chi infrangeva la legge era punito.

Tuttavia, esistono ancora tracce importanti conservate dalle generazioni più giovani, sia nel campo fonetico che lessicale. Gaio 2017 mostra che nei momenti di emozione possono affiorare espressioni usate dagli antenati che hanno un significato più profondo delle corrispondenti espressioni in PB, com’è il caso degli insulti. Uno studio di caso mostra una sequenza di ripresa cinematografica amatoriale dove un gruppo di persone lavora alla rimozione di una casa di legno con l’ausilio di macchinari8. Il protagonista della scena, pur comunicandosi sempre in una variante locale di PB, si avvale della bestemmia “porco dio”, frequente in Veneto, quando viene a trovarsi in una situazione di stress. Come corollario, alcuni tratti fonetici-fonologici tipicamente veneti, come la consonante vibrata /ɾ/. Il seguente brano estratto dalla pagina 55 dice così:

Le conversazioni sono mantenute in una delle varianti del Portoghese Brasiliano (PB), e alcune parole presentano forti segni di substrato fonetico del dialetto veneto, come la consonante vibrata /ɾ/ in parole come ‘empurraram’ ([ẽpu’ɾaɾãw], ‘spinsero’ in italiano, 0:01:21; 0:01:48), ‘carregando’ ([kaɾe’gãdu]), ‘portando’ in italiano, 0:01:24) e ‘desamarrando’ ([dezama’ɾãdu]), ‘slacciando’ in italiano, 0:01:33). Ci sono anche altri segni fonetici caratteristici del parlato locale, come la pronuncia forte dei fonemi linguo-dentali sordi ([te]) e sonori ([de]) alla fine della sillaba (['Ӡẽte]), 0:00:36; 0:00:44; 0:01:00; 0:01:43 e ([sus'pẽde]), 0:02:20), diversamente da ciò che accade nella maggioranza delle varianti brasiliane, in cui la pronuncia in questa situazione è affricata (['Ӡẽtʃi]) e [sus'pẽdʃi]) e debole. Solo a titolo di chiarimento, i casi di consonante vibrata /ɾ/ non sono allofoni del fonema /h/, mentre quelli delle linguo-dentali sorde e sonore [te] e [de] sono allofoni, rispettivamente di [tʃi] e [dʃi].

Il filmato, con sottotitoli in inglese, può essere guardato qui:

Purtroppo, Frosi; Raso 2011, (p. 335) ci mostrano che, perfino negli stati del sud del Brasile, la lingua non è più stata tramandata ai figli. Ricerche mostrano che i bambini sono monolingui di PB. Se da un lato esistono molti studi accademici su questi dialetti e questa cultura, nonché diverse azioni affermative di rivitalizzazione e valorizzazione della cultura locale, esiste dall’altro lato una “traiettoria inesorabile verso l’annullamento e la morte dei dialetti”.

3. Influenze italiane nella cultura brasiliana

Nel campo delle arti e della cultura materiale la presenza italiana in Brasile risale al secolo XVI (Trento 2000). Nelle costruzioni con Baccio da Filicaja e nella pittura, sin dal secolo XVII, con Giovanni da Fiesole. E “dalla metà dell’Ottocento in poi risultarono ampiamente rappresentati tra la categoria degli scultori e soprattutto dei musicisti, che dalla penisola portarono, oltre alle canzoni, gli strumenti musicali più diffusi” (p. 129). È sul piano artistico che l’influenza italiana in Brasile è più incisiva. Lo stesso autore segnala la tournée di Adelaide Ristori a Rio de Janeiro nel 1869, ancora in epoca imperiale, come l’evento che inaugura “tutto un susseguirsi di compagnie liriche e teatrali che ottennero un grande successo”, e che presentavano “interpreti di fama internazionale: Grammatica, Zacconi, Ruffo, Toscanini, Duse, Caruso, Novelli, Borelli, Ruggieri” (p. 133). Innumerevoli furono anche gli spettacoli teatrali che portavano sulle scene opere in italiano interpretate da compagnie di immigrati. “L’etnicità fu veicolo di acculturamento e di socializzazione” (p. 133).

Per quanto riguarda la letteratura italo-brasiliana, in particolar modo quella del Rio Grande do Sul e di São Paulo, Müller 2015 ne ha analizzato le forme e le funzioni del code-switching dal punto di vista sociolinguistico. L’autrice classifica quegli elementi linguistici utilizzati nelle opere letterarie, riflessi della realtà delle famiglie dei discendenti degli immigrati italiani. Tali famiglie si identificano con le opere narrative perché riprendono “mentefatti”9 che hanno spesso segnato la loro vita familiare (Gaio 2018).

Trento 2000, (p. 145) segnala la nascita di un genere letterario che denomina “letteratura dell’emigrazione”. Sono romanzi scritti da immigrati e che in Brasile sono praticamente circoscritti allo stato del Rio Grande do Sul e quasi sempre in talian10. Il più importante, di cui è autore Achille Bernardi, frate cappuccino figlio di immigrati, è intitolato “Vita e Storia di Nanetto Pipetta nasuo in Italia e vegnudo in Merica per catar la cucagna”. Nacque come feuilletton pubblicato in un giornale italiano locale.

Il libro ebbe molto successo e aprì la strada ad un genere letterario praticato dallo stesso autore e da altri, come Porrini, Liberali e Nanni Contastorie. Accanto alla letteratura dell’emigrazione, un brevissimo cenno va fatto a quella brasiliana in cui gli immigrati figurano come protagonisti o come comprimari. Tale letteratura, che si pone tra testimonianza e narrativa, utilizza toni quasi sempre affettuosi nei confronti di questo milione e mezzo di persone – dal passato e dagli itinerari esistenziali e lavorativi diversi – che hanno varcato l’oceano dal 1870 in poi, a dimostrazione di quanto indistricabili e sentiti siano, da entrambi le parti, i vincoli tra Italia e Brasile, ma soprattutto tra italiani e brasiliani (Trento 2000, p. 145). (Il grassetto è nostro)

La teledrammaturgia brasiliana si avvale spesso di temi o personaggi italiani, sia come protagonisti che non protagonisti. Tra il 1999 e il 2000 è andata in onda una delle telenovelas brasiliane fino ad oggi di maggior successo, intitolata “Terra Nostra”11 e imperniata sul tema dell’immigrazione italiana. Gaio 2018 ha osservato l’importanza di questa telenovela per i discendenti degli immigrati italiani. Nella sua ricerca è significativo il resoconto di un intervistato, figlio di immigrati calabresi. Nonostante non abbia vissuto l’epoca delle migrazioni, perché nato in Brasile, si è immedesimato con i sentimenti dei genitori, che si specchiavano nelle difficoltà della vita dei personaggi essendo passati loro stessi per situazioni simili. Sul comportamento della famiglia mentre assisteva alla novela, l’intervistato ha riferito:

Ragazzi, papà e mamma piangevano, allora, diamine…e quando piange uno, piange l’altro, piangono tutti!! (…) Allora, amico, era proprio da emozionarsi! Non me lo dimentico! Non me lo dimentico!! (…) [Ricordavano tutto] ma contavo sulla storia, vero amico, sulla storia. Non era…a volte non poteva [non] essere 100%, ma che aveva [somiglianza con la loro storia] …vero?

È comune che i discendenti avvertano una sensazione di appartenenza al movimento migratorio. Weber 1978, (p. 392) afferma che le “differenze accentuate di abitudini e usanze”12 creano un sentimento di etnicità nello stesso modo dell’ereditarietà fisica, in altre parole le abitudini (che interpretiamo come culturali) creano un sentimento di etnicità e di appartenenza a un determinato gruppo.

Weber associa le differenze accentuate di costumi alla filiazione etnica. Noi comprendiamo che il termine “accentuate” può essere mitigato e meglio definito. Vale a dire che, secondo noi, esiste un continuum tra il – e il + accentuato nella misura in cui le differenze culturali tramandate e conservate dipendono dal contesto di vita degli individui. Nel caso specifico degli immigrati, ci sono sensibili differenze tra i gruppi che si chiudono in ghetti e quelli che si inseriscono rapidamente nella società che li riceve; ci sono gruppi che occupano territori isolati, generalmente rurali, e quelli che occupano aree urbane. I primi hanno la tendenza a vivere in modo solitario e, di conseguenza, a conservare le proprie abitudini; gli altri le conservano fino a un certo punto perché assimilano altre culture e usanze con naturalezza. Pertanto, l’identità, che si presume sorta a partire dalla filiazione etnica, è direttamente proporzionale al grado di immedesimazione dell’individuo con le abitudini della propria cultura ancestrale, portata dagli immigrati. L’etnicità è variabile e si muove. Così come ci sono i discendenti che conservano le abitudini culturali tramandate dai loro antenati, ce ne sono altri che le hanno già perse o che le conservano soltanto nella memoria. Allo stesso modo, ci sono anche quelli che non preservano affatto la cultura degli antenati, dei quali riconoscono solo la discendenza, senza che ciò abbia influito direttamente sulla loro vita. Il sentimento di appartenenza (belonging, tema di cui si parlerà diffusamente più avanti) è qualcosa di personale e si diversifica a seconda della maggiore o minore immedesimazione sentita dal discendente con le abitudini culturali degli antenati. (Gaio 2018, p. 208).

È in questo contesto che definiamo i brasileirítalos13, e non più - italo-brasiliani con il trattino oppure “italiani” per una condizione ereditata14. I brasileirítalos sono brasiliani a tutti gli effetti, e manifestano tratti transculturali15 dei loro antenati italiani a seconda del contesto nel quale sono inseriti (Gaio 2018, p. 288).

4. Il periodo tra le due guerre

Negli anni 20 del secolo XX, il governo italiano credeva che “l’espansione italiana nel mondo sarebbe avvenuta attraverso l’economia e la cultura” (Bertonha 1997, p. 109), e che il Brasile, in particolare lo stato di São Paulo,

sarebbe stato un luogo privilegiato, dove sarebbe sorta una grande nazione latina culturalmente legata all’Italia e un mercato capace di assorbire immense quantità di prodotti italiani e di complementare la sua economia con una vasta fornitura di minerali, materie prima e alimenti (Bertonha 1997, p. 109).

Era, pertanto, fondamentale preservare il sentimento di italianità tra i discendenti, come segnala lo stesso autore.  Già negli anni 30, Trento 2000, (p. 137) informa che sorsero numerosi Istituti Italiani di Alta Cultura, il primo dei quali inaugurato a Rio de Janeiro nel 1933, i cui obiettivi erano offrire corsi di letteratura, arte, giurisprudenza e altro, e organizzare conferenze di rinomati intellettuali, come Guglielmo Marconi. Quest’ultimo, anzi, inaugurò le trasmissioni della Radio Tupi di Rio de Janeiro nel 1935. Lo stesso autore riporta che il governo italiano, nella stessa epoca, mandò in Brasile molti professori universitari per dare lezione negli atenei brasiliani, tra i quali si distingueva l’Università di São Paulo (USP).

Evidentemente, tutto ciò faceva parte della politica fascista, che intendeva marcare il territorio tra gli italiani all’estero e alimentare un sentimento di italianità tra i discendenti. Sempre negli anni 30, il governo italiano creò le Case d’Italia che “rappresentarono il culmine degli sforzi fascisti per mantenere sotto un controllo rigoroso le associazioni italiane” (Bertonha 1998, p. 45). In esse avrebbero funzionato, in modo centralizzato, tutti i tipi di organizzazione socioculturale legati all’Italia, come scuole, dopolavoro16, Consolati e anche gli Istituti di Alta Cultura. Anche il Palestra Italia di São Paulo, l’attuale Sociedade Esportiva Palmeiras (Società Sportiva Palmeiras), subì i tentativi di appropriazione da parte del governo fascista. La passione per il calcio avrebbe potuto essere un ottimo strumento di controllo (Bertonha 1998). La politica di Mussolini voleva promuovere la sensazione di appartenenza etnica tra i discendenti degli emigrati in altre terre. Non funzionò, per lo meno non nel modo che si era previsto. Come segnala Bertonha 1997, (p. 107), dal periodo prefascista in poi la politica volta a mantenere il legame degli emigrati con l’Italia era ricorrente, ma difficile da attuare in Brasile per la capacità di adattamento degli immigrati e per la difficoltà di predisporre mezzi che contrastassero questa rapida assimilazione.

5. Belonging – La sensazione di appartenenza

I discendenti degli immigrati possono tanto sentirsi parte di un gruppo, quanto escludersene, senza che la loro condizione di discendenti sia compromessa. In altre parole, un discendente di immigrati italiani può sentirsi come uno degli italiani immigrati (noi), ma può anche non considerarsi parte del gruppo (loro), senza che tutto ciò vada a scapito della sua italianità, che, nel secondo caso, si manifesterà in altre forme. A tale proposito, segnaliamo gli studi di Brubaker; Cooper 2000, Anthias 2006Anthias 2013Pfaff-Czarnecka 2011Pfaff-Czarnecka 2013 sul belonging, qui tradotto come sensazione di appartenenza.

Belonging è una posizione sociale nella quale esiste una carica di emotività (Pfaff-Czarnecka 2011, p. 201). Le persone si sentono appartenere a un gruppo quando condividono valori, relazioni e pratiche (Anthias 2006, p. 21). È una dimensione centrale della vita, facilmente sentita e sottintesa. Belonging combina tre dimensioni: la prima è la percezione e l’adempimento della comunanza17(commonality); la seconda è il senso di reciprocità (mutuality), che in un certo modo formalizza la lealtà collettiva; la terza è l’attaccamento (attachment) materiale e immateriale, che conduce alla percezione di un diritto che possa essere rivendicato (Pfaff-Czarnecka 2011, p. 201).

Brubaker; Cooper 2000, (p. 20) introdussero il concetto di “groupness18, da loro definito come il sentimento di appartenenza a un gruppo distinto, limitato e solidale. Gli autori ritengono che la comunanza (commonality), che è la condivisione delle caratteristiche comuni, e la connessione (connectedness), che è la comunicazione tra le persone attraverso i legami relazionali, possano produrre insieme ‘groupness’, ma che entrambe non lo facciano separatamente. Vale a dire che non basta condividere caratteristiche comuni o sentirsi legati ad alcune persone perché affiori il ‘groupness’. È necessario che ci siano le due cose insieme.

Secondo i concetti discussi, si percepisce che Brubaker; Cooper 2000 si riferiscono pressappoco alla stessa sensazione di appartenenza o belonging suggerita da Anthias 2006 e Pfaff-Czarnecka 2011. Pertanto, groupness e belonging possono essere analizzati nello stesso modo, poiché groupness è, per definizione degli autori, un sentimento di appartenenza, così come belonging è la sensazione di appartenenza, come abbiamo detto in precedenza.

Si deve, tuttavia, fare una distinzione tra i due tipi di belonging, o ‘belonging to’, e il ‘belonging with’, come propone Pfaff-Czarnecka 2011, (p. 201-202). Secondo l’autrice la distinzione è abbastanza chiara si considerano i termini usati in tedesco: rispettivamente zugerörigkeit e zusammengehörigkeit. Il primo termine designa la filiazione di un membro del gruppo, è più diretto e freddo. Il secondo è più profondo, nella misura in cui comprende l’appartenenza e la sensazione di appartenenza, il sentimento di “essere come” gli altri membri. Belonging to significa semplicemente appartenere; belonging with esprime non solo l’appartenenza formale bensì anche la sensazione personale di essere parte di un gruppo. C’è ‘togetherness’, c’è affiatamento19. La definizione di ‘belonging with’, come afferma la stessa autrice, riunisce i concetti di comunanza (commonality), reciprocità (mutuality) e attaccamento (attachment).

Secondo Brubaker 2005, (p. 3), dal punto di vista del territorio di origine, l’emigrazione è definita come una diaspora anche quando gli emigranti assimilano bene le nuove culture. Quest’affermazione sembra corroborare la definizione di soggetti diasporici di Canevacci 2004 nei riguardi dell’immigrazione italiana in Brasile, principalmente quella che si stabilì nei centri urbani. Durante alcuni anni gli italiani erano “minoranze non territoriali” (Puskás 2009, p. 53), ma la loro dispersione nelle città e l’assimilazione alla nuova società li trasformarono in soggetti diasporici. Come conseguenza, il lascito alle generazioni posteriori è transculturale, nella misura in cui le culture si siano già compenetrate.

Secondo Frosi; Raso 2011, (p. 334), il 1975 segna quel che essi denominano la “liberazione dell’italianità” nella regione della colonizzazione italiana del Rio Grande do Sul. Nelle commemorazioni per il centenario dell’immigrazione italiana nella regione, i discendenti misero fine al silenzio che caratterizzava la stigmatizzazione. Si sentirono a proprio agio per dare voce alla zusammengehörigkeit,

I discendenti degli italiani della RCI20 mostrarono il loro volto, abbandonarono la vergogna e lo stigma che avevano pervaso le loro vite e i loro discorsi. Senza smettere di essere brasiliani, assunsero la propria italianità, cercarono le proprie origini e cominciarono a sentirsene orgogliosi (il grassetto è nostro).

È evidente che questo stigma lasciò radici più profonde nelle cosiddette colonie del sud del Brasile proprio perché durante molti anni conservarono le loro abitudini e i loro costumi, lingua inclusa. I discendenti dell’immigrazione urbana si adattarono più rapidamente per la natura stessa dell’immigrazione. In analogia alla definizione di Canevacci 2004, (p. 76-77), gli immigrati di aree rurali sono soggetti nomadici; quelli dell’aree urbane sono soggetti diasporici. Quest’ultimi sono i formatori delle metropoli. Si allontanano dalla loro matrice etnica e questo allontanamento mette in discussione tutta la configurazione classificatoria dell’occidente – razza, etnia, sesso… Il soggetto diasporico è ‘multividuale’ e non più individuale.

Nei corpora degli studi di Gaio 2018, sono ricorrenti le situazioni in cui i discendenti non si includono nel gruppo degli immigrati, anche nei casi in cui sono italiani entrambi i genitori. Tuttavia, dal punto di vista culturale essi si considerano fortemente legati alle origini etniche dei loro antenati. Sono brasiliani a tutti gli effetti e recano con un certo orgoglio alcune impronte di quelle origini, a volte stereotipate, però mai nascoste. Essi sono, pertanto, brasileirítalos: sicuramente brasiliani, ma ciascuno con una personalissima dose di italianità. I brasileirítalos sono capaci di muoversi e di organizzarsi intorno all’italianità in accordo con le proprie possibilità. Si sentono legati allo Stato Nazione Italia, e non alla regione di origine degli antenati. A volte dimostrano interesse per la lingua nazionale e considerano come una mera curiosità la lingua degli antenati (comunemente chiamata, con un certo disprezzo, di dialetto). Valorizzano la cultura etnica atavica, già integrata al contesto sociale brasiliano. Sono essenzialmente transculturali.

Non abbiano notizia di sentimenti di vergogna nutriti dai discendenti degli italiani delle aree urbane. Come abbiamo già detto, l’adattamento degli immigrati fu rapido e facile. Se nelle aree rurali uno dei motivi decisivi per la preservazione dei linguaggi specifici, furono i matrimoni realizzati tra i parlanti dello stesso dialetto (Frosi; Raso 2011, p. 330), nelle aree urbane l’endogamia non era fonte di preoccupazione.

6. Considerazioni finali

Nonostante occupi soltanto il 19º posto per numero di parlanti nativi, la lingua italiana gode attualmente di prestigio in tutto il mondo a causa, insieme ad altri fattori, dell’emigrazione, che evoca valori positivi – creatività, fantasia, spirito di adattamento, ecc. – e di modelli di qualità di vita (Grassi et al. 2014, p. 432). Vedovelli (2005, apud Grassi et al. 2014) riferisce che, nel panorama linguistico semiotico urbano, l’italiano è la seconda lingua straniera, dietro soltanto all’inglese. Vale a dire che nelle strade di tutto il mondo molte parole italiane, o pseudo-italiane, vengono viste da milioni di stranieri.

Seguendo questa tendenza, Frosi; Raso 2011, (p. 324-325) fanno notare l’indubbio prestigio che la lingua italiana gode oggi in Brasile.  Secondo gli autori, negli ultimi tre decenni il panorama dell’immigrazione italiana in Brasile, dal punto di vista sociale, è decisamente cambiato. Il nuovo immigrante italiano in Brasile ha un’alta scolarità e qualificazione professionale e porta con sé la lingua standard invece delle lingue regionali, come accadeva nel passato. L’italiano come Lingua Straniera (LS) compete, con il francese e il tedesco, per il terzo posto e spesso lo conquista. Come se non bastasse, il Brasile occupa il quinto posto in numero di traduzioni dall’italiano nel mondo, e il secondo tra i paesi non europei, dietro soltanto agli USA. È anche al quinto posto per quanto riguarda il numero di giornali o trasmissioni radiotelevisive in italiano dopo Svizzera, Argentina, USA e Canada.   

A ciò si aggiunge anche la valorizzazione delle lingue brasiliane e delle altre lingue ufficiali, tra le quali si trova il talian, variante del veneto, parlato nel sud del paese. Nello stato dell’Espírito Santo, regione sudest del Brasile, inoltre, si ritrovano substrati di lingua veneta. Il municipio espírito-santense di Santa Teresa è stato riconosciuto ufficialmente come il Municipio “Pioniere dell’Immigrazione Italiana in Brasile” e la data del 26 giugno, giorno della fondazione di Santa Teresa nel 187521, è stata decretata data ufficiale di tale riconoscimento nel calendario brasiliano.

Tuttavia, anche lo stato di Santa Catarina rivendica per sé questo pionierismo. Storici e autorità di Santa Catarina, insieme alle leadership comunitarie, affermano che nel 1836 l’attuale municipio di São João Batista, nelle vicinanze della capitale Florianópolis, ricevette 132 immigranti provenienti dal Regno di Sardegna. Quelli che difendono il riconoscimento di Santa Teresa come municipio pioniere, fanno notare che l’Italia si è costituita come Stato nazionale nel 1861 e che non si potrebbe parlare di immigrazione di massa prima del 187522.

Decisioni politiche a parte, quello che si percepisce è come la storia degli italiani in Brasile sia antica e importante, e come abbia trasmesso lasciti culturali permanenti. Secondo l’Ambasciata italiana in Brasile, approssimativamente 30 milioni di brasiliani, circa il 15% della popolazione brasiliana, ha discendenza italiana23. Ciò non significa in assoluto che tutti possano essere definiti come brasileirítalos. Secondo noi, tale condizione è variabile d’accordo con la propria posizione personale. Ogni discendente ha in sé la propria dose di italianità, che può anche venir meno, se il soggetto perde interesse per i suoi antenati e non li considera più così importanti. Ci sono discendenti che neppure conoscono le proprie origini, sanno soltanto di avere uno o più antenati italiani, cosa che succede con maggior frequenza tra i più giovani (Gaio 2013).

Essere discendente di italiani non significa avere tutti e due i genitori italiani, o tutti gli antenati italiani. Basta che un individuo ne abbia soltanto uno per potersi denominare discendente, mostrando che il numero segnalato dall’ambasciata italiana, oltre a essere abbastanza vago e meramente stimativo, non ha una relazione diretta con la condizione dei brasileirítalos che dipende, invece, dall’immedesimazione linguistico-culturale dell’individuo con la propria italianità. Un interessante indizio di quest’immedesimazione è solitamente svelato dalla forza che l‘ascendenza italiana esercita sull’individuo quando questi parla dei suoi antenati, considerandosi italiano da un lato e genericamente brasiliano dall’altro, come se quest’altro lato non presentasse già più alcun elemento caratterizzante di altre origini.  

Come descritto in Gaio 2018, (p. 305), l’essere brasileirítalo non è una condizione immobile, una categoria immutabile. Certamente la terminologia si riferisce a una definizione del soggetto, brasiliano nella sua essenza, ma con tratti italiani nei suoi ecosistemi mentali e sociali24 che, occasionalmente, lo fanno avvicinare all’italianità e recuperare elementi della sua ascendenza etnica. In altre parole, la condizione di brasileirítalo non è statica. È sempre in movimento. Il soggetto si manifesta brasileirítalo quando ne ha un’occasione. Diversamente dalla genericità statica di italo-brasiliano e di ‘italiano’, in quanto condizione ereditata (Lesser 2015, p. 29), il brasileirítalo può smettere d’esserlo ed esserlo di nuovo a seconda del momento che sta vivendo. In fin dei conti, se parliamo di etnicità in movimento, parliamo di qualcosa di dinamico.

Ci sono diverse iniziative nel sud del Brasile, destinate a valorizzare l’immigrazione italiana dal punto di vista linguistico e culturale, alcune delle quali sono politiche statali. Nel 2009, il talian ha assunto lo status di seconda lingua ufficiale del Municipio di Serafina Correa (RS)25. In quello stesso anno, il governo dello stato del Rio Grande do Sul ha decretato il talian patrimonio storico e culturale dello stato26. Riviste, siti web27, pagine Facebook e radio sono alcuni dei mezzi usati per divulgare e riunire parlanti della lingua. Ribadendo ciò che è stato osservato dall’Ethnologue, ci sono movimenti che discutono di salvezza della lingua con una chiara allusione alla diminuzione del numero dei parlanti. Infatti, si preserva una lingua quando la si tramanda alle future generazioni ma, se questo processo viene interrotto, la sua salvaguardia viene seriamente compromessa.

E si deve anche considerare che i nuovi parlanti possono, pragmaticamente, porsi la domanda “perché dobbiamo imparare questa lingua?” visto che non ha lo status di lingua ufficiale di nessuno Stato-nazione? Da questo punto di vista forse sarebbe più interessante, o conveniente, che esistessero politiche dirette all’insegnamento/apprendimento dell’italiano standard, pur sapendo che non era l’italiano standard la lingua degli antenati degli immigrati locali.

Il talian e la sua divulgazione

La pubblicazione di dizionari, la radio Brasile talian (www.radiobrasiltalian.com.br), insegne stradali che modificano il paesaggio sociolinguistico, tutto ciò serve a sostenere la conservazione o la rivitalizzazione di una lingua. È preoccupante, però, che l’uso della lingua si limiti a piccole espressioni e parole, mescolate al portoghese brasiliano. Potrebbe essere, forse, un riflesso del fatto che i parlanti attuali del talian, non lo considerano come L1 bensì come L2, e l’uso della L2 è ristretto solo ad alcuni contesti, tra cui quello della divulgazione della propria lingua. Il talian, per ora, è oggetto di divulgazione, ma ancora non ne è il mezzo. Comunque, uno dei programmi della radio Brasile talian riunisce un gruppo di persone che raccontano casi e conversano fluentemente in questa lingua. In questo modo, essa è oggetto E MEZZO di divulgazione. Percepire la lingua quando è in uso, è forse la maggior motivazione per chi ha il desiderio di impararla.

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Così sono chiamati gli immigranti che occuparono le zone rurali brasiliane.
La questione è controversa perché questi territori erano, in certo modo, occupati dalle popolazioni indigene, la cui cultura non possedeva il concetto di proprietà della terra. Ci sono stati diversi conflitti tra queste popolazioni e i coloni, ma non è lo scopo di questo studio trattare di queste controversie. Vogliamo solo ricordare circostanze che non devono essere dimenticati o trascurati.
Il sito della Sociedade Esportiva Palmeiras (Società Sportiva Palmeiras) rafforza anche questo dato: “Siccome l’Italia è stata unificata definitivamente solo alla fine del secolo XIX, in Brasile si riconoscevano ancora le divisioni degli immigranti oriundi dalle diverse regioni, come calabresi, siciliani, veneti, napoletani, che convivevano tra loro e parlavano ciascuno il proprio dialetto. Il Palestra, allora, nacque con l’ambizione di ratificare in Brasile il recente consolidamento dell’Italia in Europa, formando una squadra che rappresentasse la colonia nella sua interezza e potesse così competere con le grandi potenze calcistiche della città”. Fonte: idem nota 3
Come, ad esempio, “pão” (/pãw/, pane in italiano) è pronunciato pon (/põ/)
https://www.ethnologue.com/language/vec (ultima visita il 12/07/2018)
Disponibile in https://www.youtube.com/watch?v=k3sftXXJHJ4 (ultima visita il 12/07/2018)
Per “mentefatti” si devono intendere i fatti che hanno una relazione con le credenze e il simbolismo presenti in certe attività, che associano pratica e cultura. Sono di carattere psichico, intellettuale ed emotivo. Comprendono tutto ciò che ha relazione con cognizione, percezione, sensazione, immaginazione, memoria, emozione, eccitazione, depressione.
Trento indica che questi romanzi sono scritti in “dialetto veneto”. Attualmente è più adeguato dire che erano scritti in talian, lingua che nel 2009 è stata dichiarata patrimonio linguistico degli stati di RS e SC e seconda lingua ufficiale nel municipio di Serafina Correa (RS). Nel 2014 il talian è stato ufficialmente riconosciuto come lingua e riferimento culturale brasiliano.
Telenovela della Rete Globo di Televisione, scritta da Benedito Ruy Barbosa e trasmessa tra il 20/09/1999 e il 02/06/2000. La sua tematica era l’immigrazione italiana in Brasile alla fine del secolo XIX.
Pronounced diferences of custom”, nella traduzione inglese delle parole dell’autore. L’originale è stato scritto in tedesco.
Per “brasileirítalos” si devono intendere i cittadini brasiliani, che hanno antenati italiani, con i quali si immedesimano più o meno, a seconda del loro contesto culturale. Nel caso in cui fosse necessario tradurre il termine, il nostro suggerimento sarebbe di rendere “brasileirítalos” con l’espressione ‘brasilianitalo ’che conserverebbe lo stesso valore semantico dell’originale.
Cfr. Lesser 2015, p. 29. L’autore segnala l’abitudine brasiliana di nominare le persone (italiane, tedesche, giapponesi, portoghesi, …) attraverso la loro ascendenza etnica o nazionale. È ciò che lui chiama di “condizione ereditata”.
Per il concetto di transculturalità, Cfr. Welsch 1999.
“L’Opera Nazionale Dopolavoro” aveva il progetto di allontanare gli operai dagli ambienti di socializzazione popolare e politica (Bertonha 1998, p. 35). In realtà furono create per occupare il tempo libero degli operai e il loro controllo spettava allo Stato e alle imprese. Il Fascismo vide nelle OND una buona opzione per influenzare gli italiani all’estero.
Abbiamo tradotto di proposito per comunanza poiché crediamo che sia il termine che si adatta meglio al concetto.
Nel caso in cui ciò fosse necessario, il nostro suggerimento sarebbe di tradurre groupness con l’espressione ‘spirito di collettività’, o con una sola parola, il neologismo ‘gruppalità’.
Il Vocabolario della Lingua Italiana ‘Lo Zingarelli Minore’ attribuisce a questo termine la definizione di comprensione reciproca. Il Vocabolario Treccani on-line lo definisce come ‘la perfetta fusione di un gruppo, di un team’.
Frosi & Raso denominano RCI la Regione della Colonizzazione Italiana, territorio situato nel nordest dello stato del Rio Grande do Sul.
Legge 13.617 dell’11 gennaio 2018.
Su quest’argomento ci sono varie notizie nei mezzi di comunicazione di massa. Tra loro, sottolineiamo https://ndonline.com.br/florianopolis/noticias/temer-sanciona-lei-federal-que-ignora-imigracao-italiana-em-santa-catarina (ultima visita il 04/07/2018).  Cfr. anche https://omunicipio.com.br/movimento-apresenta-estrategias-para-tornar-colonia-nova-italia-o-berco-da-imigracao-italiana-no-brasil/ (ultima visita il 04/07/2018)
Per i concetti di ecosistema mentale, sociale e naturale, Cfr. Couto 2016
Legge municipale 2615 del 13 novembre 2009.
Legge statale 13.178 del 10 giugno 2009.
Alcuni esempi: http://www.brasiltalian.com/p/quer-aprender-talian.html; https://www.pesquisaitaliana.com.br/talian-o-dialeto-italiano-que-vive-firme-e-forte-no-brasil/. Siccome questi siti web sono rivolti ai brasiliani, si presentano soltanto in portoghese e talian. Chiamo speciale attenzione al http://portalian.azurewebsites.net/, un traduttore automatico portoghese/talian.